mercoledì 26 settembre 2012

Mondondone (Il sentiero dei 3 Campanili)

"S'at ve' a Mundundon at ven a ca' platon" letteralmente significa che se vai a Mondondone torni a casa senza capelli (pelato).
Questa e' la frase che mi dice mio padre quando gli dico che vorrei fare un salto a vedere il paese.
L'espressione dialettale , sicuramente tramandata a lui da mio nonno, fa parte di quei piccoli assaggi di cultura contadina che caratterizzano ogni borgo della zona con mille storie.
Frasi in dialetto e aneddoti tramandati di padre in figlio ma destinati, purtroppo, a morire con le future generazioni più  interessate a crearsi radici che non hanno invece di riscoprire quelle che rinnegano.
Tuttavia, moralismo e umorismo contadino a parte, Mondondone, col suo nome che ricorda i rintocchi di una campana, sorge sul cucuzzolo che domina Codevilla.


Anche se sembra difficile crederlo data la dimensione del paesino, nel passato Mondondone era sede comunale e racchiudeva sotto di se Codevilla, Torrazza Coste e Garlassolo.


Per noi bambini il suo nome era sinonimo di scampagnata.
Infatti all'epoca in cui i pomeriggi duravano una vita, la gita a Mondondone durava un secolo con tutte le cose che c'erano da vedere e, di volta in volta, riscoprire.
Ad essere precisi non si tratta esattamente di una visita al borgo ma più di una passeggiata sulle colline alle spalle di esso.


Per cominciare questo tuffo nel passato e nelle bellezze delle nostre colline, bisogna prima di tutto arrivare nel centro del paese dove c'e' un piccolo parcheggio delimitato da una fontanella su un lato e i contenitori della raccolta differenziata dall'altra.
Lasciata la macchina bisogna prendere il percorso al di la dei contenitori che sale verso le colline.
Quello che attende chi si incammina e' una strada coperta da un sottile manto di polvere fine come talco intervallata da buche scavate dalle ruote dai trattori in cui si accumula l'acqua e forma una malta simile alla creta per modellare vasi.
A delimitare questa antica via ci sono da un lato i vigneti e dall'altro una natura incontrastata di rovi e piante che si contendono ogni millimetro di spazio.


L'ultimo saluto prima di lasciare il centro abitato lo da una casa in mattoni appena sulla sinistra del percorso che lascia in bocca il sapore della vita agreste dei primi del '900.


Un passo dopo l'altro il sentiero comincia pigramente a salire.
Da qui si può cominciare ad ammirare la reale bellezza delle colline dell'Oltrepo'.


Vigneti a perdita d'occhio, boschi e qualche sperduta cascina.
In corrispondenza della prima biforcazione un cartello indica che , salendo, si prende il sentiero dei 3 campanili.


Questa segnalazione non e' sempre stata qui, infatti non ricordo di averla mai vista in passato.
D'istinto penso che si riferisca alle 3 chiesette lungo il sentiero ma scoprirò in seguito che in realtà si tratta di  un percorso che parte dalla Chiesa di Torrazza Coste, passa da quella di Sant'Antonino e infine giunge a quella di Mondondone.
Mi accorgo dopo poco che manca qualcosa lungo il percorso e lo faccio presente a mio padre che mi sta accompagnando in questa passeggiata.


Ricordo infatti che sulla destra, dove ora sorge un muro invalicabile di piante, c'era l'accesso alla vecchia cava di gesso dove mio nonno aveva lavorato per qualche tempo.

Perplesso continuo fino quando, alla fine di questa barriera verde, si giunge ad una diramazione verso destra della strada principale.
Ricordo che in questo punto una volta c'era una lapide, forse un vecchio cimitero, ma ora c'e' solo una massa informe di fitti rovi e piccoli alberi.
Convinto che la cava sia ancora dove me la ricordavo prendo la deviazione per investigare.


Salgo la piccola strada sterrata e poco dopo , dove me la ricordavo, trovo la parte alta della cava.
Mi spiego come mai non la trovavo più dal sentiero.
Gli anni passati hanno completamente chiuso l'accesso a questa ferita nel fianco della collina.


Mi avvicino e stacco un pezzetto del friabile cristallo da un lato della cava e lo guardo con la stesa curiosità di tanti anni fa.
Un paio di foto e riscendiamo verso il sentiero principale.
Camminando mi accorgo che sul lato destro del sentieri ci sono viti che , probabilmente abbandonate a se stesse, hanno cominciato a crescere appoggiandosi ai rami di alcuni alberi e anche su alcune piante di more.
Stacco un rametto di quest'uva non più curata da contadini ma lasciata a se stessa e scopro lo stesso sapore impresso nel DNA tanti anni prima.
Quegli acini vellutati con quella spessa buccia hanno ancora il sapore della polvere della terra e il sudore delle fronti di chi ha ritagliato vigneti perfetti nel caos armonioso dei boschi di collina.
Un sapore di frutta e di storia.




Un salita ripida, come una gobba nella schiena della collina, e arriviamo ad un altro punto panoramico da cui si scorge la pianura nella sezione a V fra due colline.
L'occhio spazia finché la foschia della val Padana lo consente.


Quasi echeggiano le parole dei Nomadi che cantavano "...l'immensa pianura sembrava arrivare fin dove l'occhio di uomo poteva guardare..."

Poco più avanti, prima di un altro bivio, mi chino a raccogliere una conchiglia fossile.
Un bellissimo promemoria di quello che ci attende a poca distanza da qui e, anche meta di questa passeggiata.
Le due valve sono perfette e se non fosse per la mancanza quasi totale della parte bianca, rimpiazzata dalla roccia, sembrerebbe abbandonata li per caso da un improbabile pescatore.
Mio padre mi racconta che hanno circa 7 milioni di anni e , come gli aveva spiegato un suo ex collega geologo, non sono poi cosi' rare.
Ci inerpichiamo sulla ripida salita sulla destra del bivio che porta, dopo una bella sudata, ad una sentiero con una piccola area in piano.


Da qui si può finalmente godere della vista sul versante sud che da sulla chiesetta di Sant'Antonino e sui suoi boschi di castagne.
Un attimo per godersi la vista e riprendere il fiato e poi si continua verso la salita molto più modesta verso la chiesetta dedicata alla Madonna.




La tradizione vuole che la Madonna apparve a della gente del posto e che , inginochiatasi sullo sperone di roccia che caratterizza la cima di questa collina, abbia lasciato il segno.


A seguito di questa apparizione una piccola chiesetta che apre i battenti solo il 15 di Agosto, e' stata edificata in questo luogo.
In realtà la forma concava e' dovuta al fenomeno che descrivevo in precedenza.
Infatti quando 7 milioni di anni fa questa zona si trovava sotto al livello del mare, qui c'erano conchiglie bivalve di varie dimensioni, le più grosse grandi come un pugno.


Con gli anni , staccandosi dalla roccia, han lasciato conche perfette che sembrano davvero segni lasciati da delle ginocchia.



La chiesetta non ha campanile ed e' a questo punto che realizzo che non può  essere una parte del sentiero dei 3 campanili.
Ci facciamo una foto e parliamo un po' del passato girandoci un po' attorno.


In posti cosi' solitari e' facile pensare come la gente potesse davvero raccogliersi in preghiera e sentirsi più vicino ad un Dio creatore di tutto quello che in questi posti si può ammirare.
Come avrebbe potuto essere altrimenti quando a questa terra tanta cura e' stata data dall'uomo che altrettanto ha ottenuto in cambio.
Facendo il percorso a ritroso mi accorgo che vicino alla chiesetta e' spuntato non so come qualche bucaneve, curiosità che in passato sarebbe sicuramente stato un buon presagio.


Scendendo di nuovo giù verso la valle trovo qualche vongola fossile e anche un agglomerato di conchiglie fossili.


Un altro grappolo d'uva semi-selvatica alla mano per degustazione e in breve siamo di nuovo in cammino.
Lasciandoci alle spalle un pomeriggio a contatto con la storia, la natura e la romantica perfezione delle valli nostrane copriamo la poca distanza che da bambini con i pantaloni impolverati e le ginocchia sbucciate separava la realtà quotidiana dalla magia di un week end di avventure.
Il giorno muore all'orizzonte ma sempre viva e' la fiamma di chi questi posti decide di non osservarli ma di viverli.

Ciao Mondondone, alla prossima...

sabato 11 agosto 2012

Torrazza Coste - Gli Orridi

Quando da bambini andavamo ancora a cogliere le castagne nei boschi coi nostri genitori, usanza che ormai sembra paleolitica, spesso andavamo sulle colline dietro Torrazza Coste. Infatti questi boschi, da Torrazza a Sant'Antonino, sono ricchi di piante di castagne e hanno ancora un sottobosco incontaminato.

Nella ricerca del frutto prelibato qualche volta ho trovato denti di cinghiale e qualche piuma di pavone che ancora oggi conservo gelosamente. Tuttavia lo spettacolo del sottobosco non la fa da padrona in quest'area delle nostre colline. Infatti il primato per la visione mozzafiato ce l'ha un altro fenomeno naturale: gli Orridi.

Il nome Orrido non sarebbe del tutto appropriato al fenomeno in questione ma son sempre stati chiamati così e, per noi fanciulli, erano sicuramente un modo per incutere non solo ammirazione e misticismo ma anche il timore e il dovuto rispetto per queste colline spaccate in due dalla natura che senza tregua le modella a suo piacimento non curante di strade o sentieri che l'uomo ha costruito negli anni.

Guidando sull'asfalto che dal Trebbio porta a Cadelazzi e di seguito a Torrazza mi accorgo subito di quanto l'erosione sia avanzata e si sia avvicinata pericolosamente alla stradina in mezzo ai boschi che ora, sotto la minaccia di essere divorata anch'essa, ha subito una riduzione di carreggiata per far spazio ad un guardrail di protezione.

Lasciamo la macchina qualche metro prima in uno spiazzo appena accennato sul lato sinistro della strada e, seguendo le memorie che ho, prendiamo un sentiero che ricordo portare al punto panoramico più alto.

Scopro poco dopo che la distanza per raggiungere lo spiazzo si è ridotta anch'essa drasticamente e che il posto che cerco ormai giace 20-30 metri più sotto. E' davvero difficile da credere ma una gran fetta della collina, per come me la ricordavo, non esiste più.
Un ramo di un albero rimane sospeso nel vuoto come una braccio teso, rimasto a porgere la mano in extremis al suo vicino che ormai giace a fondo valle con le radici secche scoperte.

La morte qui in realtà non esiste ma è una transizione. E' morta una collina coi suoi fiori e i suoi alberi ma è rinata sotto forma di un nuovo bosco in fondo alla valle.
Non dico molto ma resto a guardare fin dove l'occhio riesce a spaziare sulle valli sottostanti. Cosa si podrebbe dire di fronte a questo spettacolo della natura per raccontarlo?
Per capire questa parte d'Italia bisogna viverla e non basta guardarla.
Ancora uno sguardo rivolto al verde e ai campi coltivati e poi via, giù per il sentiero fino alla macchina.
Passiamo vicino al guardrail e con il sole in faccia scendiamo verso la valle, verso casa con un altro paio di foto e di ricordi in tasca.





Cella di Varzi - Tempio della Fraternità

Da bambini, la maggior parte dei bambini, pensa che da grande vorrà fare il soldato. Non so cosa pensino le bambine, se veramente vogliono fare le ballerine ma per noi piccoli uomini era così.
E' infatti grazie al fatto che ero uno di quei maschietti che passavo le mie giornate in giardino a sparare a invisibili nemici con il mio fucile che usava quei piccoli cappuccetti gialli di plastica esplosivi.
Quando un giorno i miei mi dissero che mi avrebbero portato a vedere un carro armato ero ovviamente eccitatissimo e entusiasta. Così, dopo mangiato, in una calda domenica degli anni '80, mi portarono in mezzo alle valli dell'Oltrepo' a vedere il mastodonte semovente verde che per alcune ore sarebbe diventato la mia nuova avventura.

Un M7 Seaxton, per un bambino, è sicuramente una vista imponente e affascinante. Per un uomo adulto è rispetto verso una temuta arma da guerra e ricordo di eventi che tinsero di sangue il mondo e le nostre valli negli anni '40. Tuttavia, anche per un uomo, non è facile far coincidere il concetto di fraternità e guerra, eppure sembra che l'opera sagace di Don Adamo Accosa, il Tempio Della Fraternità di Cella di Varzi, riesca nel suo intento.

Il tempio è stato un posto dove negli anni son tornato più volte. Forse più per la sua peculiarità che non per capirne il motivo alle spalle o scoprirne l'idea dalla quale scaturì la sua creazione. Tuttavia, nella mia ultima visita, mi sono comprato il libretto con la storia del tempio e mi ci sono immerso con passione. Lungi da me spiegare tale storia nel mio blog e, anzi credo che chi si appassioni a questo posto unico al mondo, debba andarci e scoprire da sè di cosa si tratti e, mio modesto suggerimento, passarci qualche ora con calma e con voglia di imparare qualcosa. Questa voglia che ci rende umani e perciò curiosi.

Ironicamente parlando, visto che si tratta a tutti gli effetti di una chiesa, posso dire che provavo una reale venerazione per quel grosso pezzo di ferro verde parcheggiato sul fianco della chiesa.
Questa venerazione non è svanita, più che altro è mutata in venerazione dell'opera di un uomo che ha lanciato una piccola sfida a se stesso e ha intrapreso l'arduo compito di riunire cimeli di guerra in un'opera d'arte che altruisticamente ha donato a noi tutti e ad un mondo in cui troppo spesso ormai, la parola guerra è troppo distante per essere compresa.

Un offuscato ricordo degli anni passati da una generazione che purtroppo non si ascolta quasi più quando ci parla e che ha cercato di darci un mondo migliore nel quale la nuova generazione ha saputo solo abusare nuovamente dei più deboli.

Lasciandoci complessi pensieri e riflessioni alle spalle, la visita al tempio può essere fatta passando da due strade diverse.
Si può seguire quella suggerita dalla nuova segnaletica e che, lasciando Varzi, fa prendere tutta la Strada Provinciale 111 fino a Fabbrica Curone, svoltare a sinistra per prendere la Strada Provinciale 100 e poco più avanti girare sulla sinistra sulla Strada Provinciale 91.
La seconda opzione, quella storica, che ho sempre fatto ma che sconsiglio visto che la strada è molto piccola e a doppio senso, è di giare subito a sinistra a San Michele di Nivione seguendo le indicazioni per Cella.
Il borgo di Cella è appollaiato su un cucuzzolo e, come accade spesso nei comuni montani dell'oltrepo', il piccolo bar ai piedi della chiesa è il punto di ritrovo della comunità con l'immancabile gruppetto di persone fuori a discutere.

Voglio lasciare un ultimo suggerimento.
Nella vita di oggi, frenetica e sempre di corsa, non è facile ritagliarsi il tempo per vedere un posto e per capirlo. Alle volte si taglia corto e si prendono le prime impressioni come realtà assoluta.
Se volete capire ogni mattone di questo posto dovete tornare curiosi come i bambini e col cuore aperto a capire che quello di fronte a voi non è nè un museo nè una chiesa ma un testamento per l'umanità.
Spero che chiunque possa andarci possa, come me, tornare arricchito sotto tanti aspetti.
Arrivederci Tempio, ci rivedremo quando saro ancora più maturo per capirti ancora di più di adesso.