Arrivando a Valverde da Località
Fornace, non sembra davvero che ci sia un paese in mezzo a quel
nulla fatto di boschi e campi. Il paese infatti risulta nascosto da
una collina che ne oscura la vista totalmente.
Arrivati al bivio, per accorgerti che
esiste un centro abitato, devi girare a destra. Tuttavia , dopo tanti anni (quasi 12)
che non passo da questi posti, sono un po' confuso.
Buttando l'occhio a sinistra vedo una
mappa messa dalla provincia sotto alcuni alberi ,vicino ad un
cascinale con delle panche di legno accatastate lì fuori come se in
vendita.
Io e mio fratello, che mi accompagna
gentilmente in questa scampagnata per le valli, ci fermiamo e diamo
un'occhiata.
“Ecco, te lo dicevo, anche se non è
segnato sulla nostra cartina, mi ricordavo che a Valverde c'è un
castello!”
Risaliamo in macchina, inversione di marcia e saliamo verso il centro del borgo. Di fronte a noi il comune e la posta.
Una stretta curva a gomito sulla
sinistra porta a una stradina larga appena per la nostra punto che si
inerpica in mezzo ai boschi.
“Pensa che 'ste strade, quando facevo
l'obiettore, le facevo col Fiorino!” dico io orgoglioso.
“Col Fiorino? Ma come diamine
facevi?”
I tempi in cui col fiorino andavo in
giro per la provincia sono ormai andati cosi' come anche è finita
l'epoca degli obiettori ma non passa il ricordo di quel pomeriggio
quando libero da impegni e su suggerimento di un educatore del Centro
Sociale che era cresciuto in zona, ho voluto investigare il
fantastico castello di Valverde.
Giunti a metà circa mi accorgo che le
cose son ben diverse da come me le ricordavo.
Prime fra tutte la segnaletica che
prima era molto meno presente.
Secondo noto che la strada è molto più
curata e anche la presenza di diverse piccole lanterne e una sorta di
piccole icone a lato della strada; ognuna rappresenta una delle
case della Via Crucis. La connotazione religiosa del posto è
del tutto nuova, non c'era e, soprattutto, non c'era un limite a dove
potevi salire con la macchina.
Infatti a poco meno di 100 metri dalla cima della collina, c'è una sbarra e uno spiazzo per parcheggiare. Parcheggiamo la macchina sotto delle piante e ci incamminiamo, telecamera alla mano, per la stradina che sale ripida al prato d'erba dal neo parcheggio.
Giunti in cima, quel prato smeraldo, è ancora lì. Dinnanzi a noi si staglia la chiesetta
con di fronte la pluri-rosariata Madonna della Neve.
Sulla destra, poco più in là, la torre del castello (un rudere) con davanti una gran targa bianca. La targa racconta della fondazione, celebra l'inespugnabilità e i lunghi assedi che il castello ha subito da parte di Galeazzo Visconti.
Il castello, 700 anni dopo, è ancora
sotto assedio ma stavolta da una vegetazione che senza sosta cerca di
riappropriarsi di ogni mattone strappato da chissà quale cava
locale.
Fra radici e piante è difficile
immaginare come potesse essere originariamente ma, nonostante ciò
prendendo il sottile sentiero che gira attorno, è possibile salire al
primo livello del castello.
Qui, c'è forse la più bella delle sorprese. Si ha la possibilità di tornare dame e messeri e godere di quella vista che secoli addietro i nostri avi potevano godere da questo mucchio di pietre che, strategicamente piazzato in cima ad una collina, lascia lo sguardo libero di spiazzare da Zavattarello a Montalto Pavese e, più in là, fino alle Alpi.
Penso ad improbabili dame sedotte di
fronte a un così bello scenario naturale che, ai giorni nostri, con i
suoi campi coltivati, torri che dominano le dolci colline
appenniniche e piccoli centri montani, è una cartolina da portare
sempre nel cuore.
Mio fratello, di solito chiacchierone,
si fa silenzioso e, mentre riprende con una panoramica, mi chiede di
raccontare qualcosa cosi da lasciare una traccia di sottofondo.
Racconto dei miei giorni a Pietragavina come obiettore e di come, quando me lo facevano fare, adorassi lasciare Voghera e venire sù in queste valli a fare i classici 3 giorni di servizio al centro.
C'era molto da fare per portare avanti
il centro e non vedevo l'ora che arrivassero le tre per essere
libero e, qualche volta, andare via anche solo due ore per scoprire
l'ennesimo paese sconosciuto nei dintorni o provare quella ennesima
strada sterrata che non si sa dove va a finire. Quel Fiorino, con me, ha sopportato il
più arduo dei test e, alla fine del mio servizio, aveva ancora
visibilissimi i segni delle nostre avventure. Il telone tagliato e uno specchietto in
meno.
Restiamo ancora qualche istante a divorare avidamente ogni dettaglio che quella vista ci dona.
Mio fratello sortisce ad un tratto con: “Ma che posto e' quello?”
“Sara' Rocca de Giorgi o Montalto
Pavese. Andiamo a vedere?”
“Mah sì, dai...”
Tornando verso la macchina non ho detto nulla.
Pensavo a quanto mi mancano questi
posti e , adesso che vivo cosi' lontano, quanta voglia ho di
rivederli ogni volta che torno e che posso...
Non sazi ci siamo messi in rotta per
Montalto solo per scoprire che il castello era suo e non di Rocca de
Giorgi.
La visita alla prossima volta!
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