venerdì 10 agosto 2012

Valverde


Arrivando a Valverde da Località Fornace, non sembra davvero che ci sia un paese in mezzo a quel nulla fatto di boschi e campi. Il paese infatti risulta nascosto da una collina che ne oscura la vista totalmente.
Arrivati al bivio, per accorgerti che esiste un centro abitato, devi girare a destra. Tuttavia , dopo tanti anni (quasi 12) che non passo da questi posti, sono un po' confuso.
Buttando l'occhio a sinistra vedo una mappa messa dalla provincia sotto alcuni alberi ,vicino ad un cascinale con delle panche di legno accatastate lì fuori come se in vendita.
Io e mio fratello, che mi accompagna gentilmente in questa scampagnata per le valli, ci fermiamo e diamo un'occhiata.
“Ecco, te lo dicevo, anche se non è segnato sulla nostra cartina, mi ricordavo che a Valverde c'è un castello!”
“Meglio così siam venuti qui per questo!”


Risaliamo in macchina, inversione di marcia e saliamo verso il centro del borgo. Di fronte a noi il comune e la posta.
Una stretta curva a gomito sulla sinistra porta a una stradina larga appena per la nostra punto che si inerpica in mezzo ai boschi.
“Pensa che 'ste strade, quando facevo l'obiettore, le facevo col Fiorino!” dico io orgoglioso.
“Col Fiorino? Ma come diamine facevi?”
I tempi in cui col fiorino andavo in giro per la provincia sono ormai andati cosi' come anche è finita l'epoca degli obiettori ma non passa il ricordo di quel pomeriggio quando libero da impegni e su suggerimento di un educatore del Centro Sociale che era cresciuto in zona, ho voluto investigare il fantastico castello di Valverde.
Giunti a metà circa mi accorgo che le cose son ben diverse da come me le ricordavo.
Prime fra tutte la segnaletica che prima era molto meno presente.
Secondo noto che la strada è molto più curata e anche la presenza di diverse piccole lanterne e una sorta di piccole icone a lato della strada; ognuna rappresenta una delle case della Via Crucis. La connotazione religiosa del posto è del tutto nuova, non c'era e, soprattutto, non c'era un limite a dove potevi salire con la macchina.


Infatti a poco meno di 100 metri dalla cima della collina, c'è una sbarra e uno spiazzo per parcheggiare. Parcheggiamo la macchina sotto delle piante e ci incamminiamo, telecamera alla mano, per la stradina che sale ripida al prato d'erba dal neo parcheggio.
Giunti in cima, quel prato smeraldo, è ancora lì. Dinnanzi a noi si staglia la chiesetta con di fronte la pluri-rosariata Madonna della Neve.


Sulla destra, poco più in là, la torre del castello (un rudere) con davanti una gran targa bianca. La targa racconta della fondazione, celebra l'inespugnabilità e i lunghi assedi che il castello ha subito da parte di Galeazzo Visconti.
Il castello, 700 anni dopo, è ancora sotto assedio ma stavolta da una vegetazione che senza sosta cerca di riappropriarsi di ogni mattone strappato da chissà quale cava locale.
Fra radici e piante è difficile immaginare come potesse essere originariamente ma, nonostante ciò prendendo il sottile sentiero che gira attorno, è possibile salire al primo livello del castello.


Qui, c'è forse la più bella delle sorprese. Si ha la possibilità di tornare dame e messeri e godere di quella vista che secoli addietro i nostri avi potevano godere da questo mucchio di pietre che, strategicamente piazzato in cima ad una collina, lascia lo sguardo libero di spiazzare da Zavattarello a Montalto Pavese e, più in là, fino alle Alpi.
Penso ad improbabili dame sedotte di fronte a un così bello scenario naturale che, ai giorni nostri, con i suoi campi coltivati, torri che dominano le dolci colline appenniniche e piccoli centri montani, è una cartolina da portare sempre nel cuore.
Mio fratello, di solito chiacchierone, si fa silenzioso e, mentre riprende con una panoramica, mi chiede di raccontare qualcosa cosi da lasciare una traccia di sottofondo.


Racconto dei miei giorni a Pietragavina come obiettore e di come, quando me lo facevano fare, adorassi lasciare Voghera e venire sù in queste valli a fare i classici 3 giorni di servizio al centro.
C'era molto da fare per portare avanti il centro e non vedevo l'ora che arrivassero le tre per essere libero e, qualche volta, andare via anche solo due ore per scoprire l'ennesimo paese sconosciuto nei dintorni o provare quella ennesima strada sterrata che non si sa dove va a finire. Quel Fiorino, con me, ha sopportato il più arduo dei test e, alla fine del mio servizio, aveva ancora visibilissimi i segni delle nostre avventure. Il telone tagliato e uno specchietto in meno.

Restiamo ancora qualche istante a divorare avidamente ogni dettaglio che quella vista ci dona.
Mio fratello sortisce ad un tratto con: “Ma che posto e' quello?”
“Sara' Rocca de Giorgi o Montalto Pavese. Andiamo a vedere?”
“Mah sì, dai...”


Tornando verso la macchina non ho detto nulla.
Pensavo a quanto mi mancano questi posti e , adesso che vivo cosi' lontano, quanta voglia ho di rivederli ogni volta che torno e che posso...
Non sazi ci siamo messi in rotta per Montalto solo per scoprire che il castello era suo e non di Rocca de Giorgi.
La visita alla prossima volta!













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